I VACCINI ANTI COVID 19
- Stefano Sessa
- 2 mar 2021
- Tempo di lettura: 3 min

In tutto il mondo sono iniziate le vaccinazioni anti Covid 19 e anche in Italia, pur tra mille polemiche, la campagna sta andando avanti. A noi non interessa spargere benzina sul fuoco, né esprimere giudizi, né valutare sé l’Astra Zeneca sia meglio del vaccino anti Covid Pfizer, se il Moderna abbia meno effetti collaterali del monodose Johnson & Johnson in arrivo, per quanto se ne sa al momento, entro la primavera. Tantomeno entreremo nel dibattito scientifico, oltre che politico, sull’efficacia dei vaccini Sinopharm e Sputnik V, anche se già in uso in alcuni paesi europei come l’Ungheria.
Vorremmo solo dare un piccolo contributo per una riflessione più approfondita su alcuni aspetti della vaccinazione che sono stati poco discussi nei media, con il valore aggiunto di essere un addetto ai lavori che si confronta ogni giorno con questo tipo di situazioni. Dall’inizio della pandemia, ormai più di un anno, la quotidianità della nostra pratica medica è cambiata completamente. Per quanto riguarda la gestione dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuali) sono ormai diventati un gesto automatico, un riflesso condizionato. Questo senza dubbio ha aumentato in modo decisivo la sicurezza di noi medici e dei nostri pazienti, azzerando i contagi nell’ambito della nostra pratica medica. D’altro canto, per noi medici di famiglia, è senza dubbio aumentato il carico di supporto psicologico e emotivo richiesto dai pazienti. L’aspetto controverso, di cui ci siamo dovuti fare carico come medici di famiglia, è il supporto dei pazienti con altre patologie, che dall’inizio della pandemia, non hanno più trovato nelle strutture ospedaliere e ambulatoriali il supporto necessario a cui erano abituati. Ad esempio, la stessa AME (Associazione Medici Endocrinologi) di cui faccio parte, ammette in un articolo della sua newsletter di gennaio 2021 che “in Europa e in Italia, a seguito della pandemia c’è stato un calo delle prestazioni sanitarie complessivamente ridotte del 37%, soprattutto le visite ambulatoriali (-42%)”. Oltre agli evidenti effetti negativi sulla salute delle persone in generale, anche a medio e lungo termine, questa situazione ha portato all’incremento delle diseguaglianze di trattamenti medici tra “ricchi e poveri”.
In questi giorni stiamo attrezzando e organizzando ulteriormente i nostri studi di medicina generale per gestire gli afflussi aggiuntivi di pazienti che dovremo vaccinare contro il Covid 19 nei prossimi mesi. In questo contesto, un tema importante che andrebbe studiato più da vicino è l’opportunità o meno di vaccinare (almeno come priorità) coloro che, avendo già avuto il Covid 19, hanno livelli di anticorpi apparentemente alti. Tuttavia, le scale di misurazione ad oggi disponibili per valutare il livello di anticorpi è ancora abbastanza approssimativo perché, se da una parte viene identificata una soglia oltre la quale si ritiene vi sia un livello di anticorpi “significativo”, d’altro canto vi sono degli scostamenti enormi in aumento rispetto al minimo considerato utile a fini protettivi dai test, senza che vi sia una chiara idea di quali implicazioni reali comportino dei valori molto alti di anticorpi, peraltro osservati di frequente. Tanto per fare un esempio, la scala di misura delle IGG (anticorpi Sars-CoV2 IgG) che utilizza come unità di misura Au/ml prevede, a seguito di vaccinazione o di diagnosi pregressa della malattia, una soglia minima di 13 come livello di positività degli stessi anticorpi. Tuttavia, vi sono dei casi di pazienti con valori pari a 262 e oltre, quindi almeno 20 volte superiori al livello minimo di positività, senza che sia chiaro cosa comportino dei valori così alti in termini di immunità, eventualmente anche contro le varianti. Essendo questo un problema con il quale ci confrontiamo tutti giorni con i pazienti, che giustamente pongono domande e si aspettano risposte precise, il nostro auspicio come medici di famiglia è che si sviluppino ulteriormente le ricerche e i trials clinici su questo aspetto, in modo di poter dare indicazioni precise e equilibrate sia alle persone non prevenute contro i vaccini che a quelle – e ne vediamo tutti i giorni – che per noti motivi hanno posizioni più o meno nette contro il principio stesso della vaccinazione. Come sempre continueremo a dare il nostro contributo, come medici di famiglia, per vedere il prima possibile un’Italia Covid free.
CLAUDIA BULLETTA – STEFANO SESSA
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